Prefazione

Michele Lanzinger
Direttore MUSE, Trento


È noto che l’ossigeno che respiriamo è prodotto in larga parte dai vegetali e che qualsiasi piramide alimentare, compresa quella da cui otteniamo nutrimento, si fonda sulle piante. È altresì vero che le fonti energetiche non rinnovabili, il cui ampio uso sta portando il pianeta verso una crisi climatica , sono il risultato della decomposizione di materiale vegetale, quindi di energia solare “intrappolata” per milioni di anni dalla fotosintesi nei tessuti delle piante.

Ma invertiamo le parti, se all’improvviso il regno vegetale dovesse scomparire, per quanto tempo sopravvivrebbero la nostra specie e gli altri animali? E di più, a fronte dell’abbandono dei territori modificati dalle attività umane, in quanto tempo il regno vegetale riprenderebbe il sopravvento cancellando i segni dell’umanità, le metropoli, le grandi infrastrutture e i monumenti del nostro trascorso culturale?

Se la nostra relazione con il mondo vegetale è una relazione funzionale che ci riguarda sia come specie biologica sia come specie economica, non c’è dubbio che anche la dimensione sociale e culturale interviene con un rapporto simbolico fondamentale. La stessa nozione di paesaggio è intrinsecamente intessuta di relazioni con il mondo delle piante e quando riconosciamo e ricerchiamo esperienze di benessere e di pace ci viene naturale pensare a situazioni dove il colore verde predomina.

Questa accezione socio-culturale, dove il rapporto con il verde attiene anche alla categoria del bello e del desiderabile, porta a rinegoziare un approccio meramente funzionalista non solo rispetto alla dimensione vegetale ma più complessivamente rispetto al rapporto che noi umani intratteniamo con gli ecosistemi e con la dimensione ambientale. Se, come disse Alexander Langer “La conversione ecologica potrà affermarsi soltanto se apparirà socialmente desiderabile”, ecco che il senso stesso della sua azione assume caratteri universali, e il suo perseguimento potrà operare solo nell’ambito di una virtuosa interdipendenza tra la dimensione tecno-scientifica e quella più ampiamente sociale e umanistica, tra scienza e coscienza. Il linguaggio delle arti appare pertanto utile e necessario proprio per ampliare il grado di empatia e immedesimazione nel complesso sistema di cause ed effetti, di adattamenti ma allo stesso tempo di forte e vibrante volere verso un rapporto più responsabile con l’ambiente nel suo complesso.

In questa dimensione di letture integrate e di interdipendenze viene a cessare anche la specificità disciplinare che i musei hanno ereditato dal passato. Non si tratta di dividerci il linguaggio con il quale guardiamo alla conservazione e ai racconti sul patrimonio culturale, ma di costruire dei sistemi di condivisione e di partecipazione che permettano alla società anche per il tramite del piccolo contributo che può offrire una mostra di entrare in una dimensione di anticipazione, da intendersi come un favorire l’orientamento verso l’adozione di principi e comportamenti per condurre noi e le generazioni future verso scenari di sostenibilità.

Come Direttore del MUSE Museo delle Scienze di Trento esprimo il più sincero apprezzamento per l’intelligente e sensibilissimo progetto espositivo dedicato alla relazione tra l'essere umano e l'albero, realizzato nel 2019 con la curatela di Daniela Berta e Andrea Lerda dal Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi" - CAI Torino. Confido inoltre che questo progetto, arricchito da contributi originali elaborati dal MUSE, possa in questa sede rinnovare una quanto mai necessaria relazione dinamica e costruttiva tra specie umana e gli ecosistemi naturali.