Tree Time, tra storia, arte, scienza e documentazione

Daniela Berta
Direttore Museomontagna, Torino


Il tempo dell’albero è esattamente ora.

Nell’ultimo biennio una serie di fenomeni naturali e mediatici ha portato il sentire comune a convergere più che mai su temi ambientali, in particolare forestali: la tempesta Vaia, gli incendi massivi in Siberia, Amazzonia, Indonesia, i Fridays for Future, Greta Thunberg, per citare le presenze più significative nell’immaginario collettivo mondiale.

Da sempre sappiamo che gli alberi sono essenziali per preservare la biodiversità, la fertilità dei suoli, l’equilibrio idrogeologico e climatico, la qualità dell’acqua e dell’aria, la sopravvivenza del mondo animale. Eppure solo ora ha guadagnato urgenza impellente la considerazione che l’utilità ecosistemica strategica delle foreste pretende la salvaguardia delle peculiarità e la messa in campo di azioni di cura per ristabilire gli equilibri compromessi dall’ultimo agente modellatore dell’ambiente in ordine di tempo, l’uomo.

Gli ecosistemi forestali fanno parte di un sistema interconnesso, la cui complessità è la questione scientifica, culturale, etica, politica, economica, sociale al centro di Tree Time.
Le piante costituiscono l’82,5% della biomassa terreste, i batteri il 12,8%, i funghi il 2,2%, il mondo animale lo 0,4%, gli esseri umani solamente lo 0,01%. Gli alberi sulla Terra sono 3 trillioni e gli ettari di bosco in Italia 12 milioni, ovvero il 39% del territorio. E nonostante le superfici boscate nazionali si siano dimezzate rispetto a 150 anni fa, il nostro Paese è tuttora considerato uno dei principali centri di biodiversità a livello mondiale.

La distribuzione sui versanti alpini è da sempre caratterizzata da grande varietà – in virtù delle diverse condizioni di esposizione, altitudine e clima, tipo di terreno – storicamente caratterizzata da una gestione condivisa dei beni comuni: i boschi, le acque, i pascoli, e via dicendo. La necessità di una pianificazione forestale ha portato nel 2018 alla pubblicazione del Testo Unico Forestale, con lo scopo di dare una normativa di indirizzo nazionale a una materia di competenza di Stato e Regioni e di attivare una strategia che ponga al centro la riattivazione della filiera del legno, l’occupazione nelle aree marginali, la pianificazione della gestione attiva, la prevenzione del rischio incendi, il contrasto dell’abbandono, dell’incoltura e della frammentarietà delle proprietà, il sostegno a forme di gestione associata e la disciplina delle trasformazioni, mettendo al centro le potenzialità produttive e il bosco come risorsa. Boschi montani, periurbani e urbani, dunque, alla ricerca di un equilibrio tra cura, selvicoltura, gestione della rinaturalizzazione e tutela paesaggistica e ambientale.

Il progetto Tree Time, nel rendere conto di queste nuove sensibilità, traccia un ponte storico tra diverse esperienze che hanno segnato l’evoluzione del “pensiero verde”. A partire dalla fondazione nel 1898 – in seno al Club Alpino Italiano, nato 35 anni prima – dell’Associazione Pro-Montibus per la Protezione delle Piante e per Favorire il Rimboschimento, che si prefiggeva l’obiettivo di curare l’osservanza delle leggi sui boschi, favorire il miglioramento dei pascoli alpini, patrocinare l’istituzione di giardini e arboreti alpini, esercitare protezione sulle piante e sulla flora di montagna, patrocinare lo sviluppo di tutte le industrie agricole, alpine e silvane, favorire la conservazione e propagazione degli uccelli utili all’agricoltura e dei pesci che popolano i torrenti di montagna.
Nel settembre dello stesso anno, l’Associazione organizza un congresso e celebra, per la prima volta in Italia, la Festa degli Alberi, al Monte dei Cappuccini di Torino, sede dal 1874 del Museo Alpino, oggi Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi”.

“Il convegno ebbe luogo all’aria libera nel recinto boschivo del monte dei Cappuccini, parato a festa, dinanzi ad un ammirabile panorama, in una giornata di sole splendido; rendeva servizio d’onore un picchetto armato di guardie forestali e rallegrava di lieti concerti la musica della fanfara del Genio militare […]. Il pubblico si addentrò nel sottostante boschetto, dove, in apposita fossa, posava le sue radici uno splendido campione di Abies pectinata. Ivi il presidente spiegò il concetto altissimo della cerimonia colla quale quell’albero veniva dedicato a S.M. il Re, presidente onorario della Pro-Montibus […]. Questo abete pettinato, argenteo, proveniente dalla forte e cavalleresca Pinerolo e precisamente da Perrero in valle di S. Martino, è dalla Società, con intenzione, posto su questo ridente elevato colle di Torino, da dove, anche pel ripopolarsi e per lo estendersi del regno vegetale, sta bene siano prese le mosse ed è tradizionale, regolare quindi, abbia da partire l’iniziativa e l’esempio del propagarsi delle piante a rinverdire le oggi denudate itale pendici […]. Il presidente quindi per primo con una palata di terra, cui fecero seguito tutti gli astanti, fissò per sempre al suolo l’albero, simbolo vivente dello scopo pel quale la novella Associazione si è costituita e primo esemplare della numerosa progenie alpina che, secondo il voto del Congresso, dovrà in futuro coprire le pendici di quel monte”.

Il giorno seguente, ripresi i lavori del Congresso, l’avvocato conte Luigi Cibrario e il dottore cavaliere Filippo Vallino, vice-presidenti di Pro-Montibus, informano che è allo studio, presso la Sezione torinese del CAI, la sostituzione del bosco recinto del Monte con un arboreto e giardino alpino, progetto da affidare a Ubaldo Valbusa e da sottoporre al Municipio. Sulla Rivista mensile del CAI, Valbusa nel 1900 descrive i lavori:

“Ad incremento delle già ricche e svariate collezioni che la Sezione di Torino, colla perseveranza di ventisei anni di lavoro, è andata raccogliendo nel suo Museo Alpino al Monte dei Cappuccini nella stessa città, si sta ora provvedendo alla costituzione di un giardino ed arboreto alpino, nel bosco annesso ai locali della sia Palestra. Già dallo scorso anno 1899 si erano raccolte, in una piccola spiazzata del bosco, oltre 150 specie di piante coltivate in vaso. Dopo l’esperimento del primo inverno in sito, dalla maggior parte di esse felicemente scongiurato, nel principio della primavera del corrente anno si è cominciata la costruzione del vero giardino, atterrando alcuni alberi decrepiti e fracidi, asportando enormi quantità di materiali da demolizione che in lunghi anni, per i molteplici usi cui la vicenda delle cose portò a servire i locali ora occupati, coprono ed ingombrano, rendendo sterile la china del colle, delimitando aiuole e sentieri, costruendo muracciuoli e terrapieni, parte a secco e parte in cemento, nonché una vasca per l’innaffiamento, una cascata, un ponte, ecc., ecc. Attualmente si hanno trentacinque aiuolette, alcune piane, altre in pendìo, che contengono oltre a 300 specie di piante, per la maggior parte già perfettamente acclimatate ed in lussureggiante vegetazione e fioritura. Tra queste, parecchie sono vere rarità di ristrettissime regioni della nostra catena alpina. Né tutte sono erbacce, ché anzi vi sono numerosi piccoli arbusti ed alberetti ad alto fusto, che in avvenire sostituiranno i guasti e deturpati tronchi del bosco. Parte furono trasportate vive dalla montagna e parte furono allevate da seme e nate negli anni 1898, 1899, 1900. Il lotto attualmente coltivato, che sarà completamente restaurato nel venturo anno, sarà poi ad ogni anno ampliato coll’aggiunta di nuove porzioni, a seconda che le risorse economiche permetteranno a nuove gentili ospiti di venire ad infiorare sempre più numerose quel lembo di terra. Il giardino alpino si chiamerà «Allionia», in omaggio alla memoria di Carlo Allioni, padre dei botanici piemontesi, contemporaneo amico del grande Lineeo, precursore dell’alpinismo colle sue numerosissime esplorazioni alpine scientifiche, nel tempo in cui le Alpi presentavano tante difficoltà, ed erano più temute che amate e studiate. Ciascuna aiuola ricorderà uno degli altri botanici piemontesi e italiani, scienziati e raccoglitori. Le difficoltà materiali e quindi quelle economiche furono e si mantengono gravi, per le condizioni del sito del primo impianto e pel bisogno urgente di far salire fino al giardino la condotta dell’acqua potabile, che sola permetterà uno sviluppo serio della nostra Allionia”.

I lavori proseguiranno negli anni seguenti, come raccontano le altre relazioni del progettista, che nel 1902 pubblica l’elenco delle piante erbacee e legnose presenti, tra le quali compaiono betulle, carpini, meli e faggi, salici, cembri, abeti rossi, cipressi, tassi, ginepri, olivi, mirti, melograni, fichi, peschi, mandorli, alberi di Giuda, pruni.
Dotato dal 1884 di una funicolare, il Monte dei Cappuccini vedeva dunque la propria attrattiva arricchita dal giardino aggregato al Museo Alpino. Il giardino, abbandonato dal 1905 a causa degli elevati costi di gestione, e la funicolare, smantellata dopo la Seconda guerra mondiale, hanno lasciato al sodalizio e alla città qualche segno dei loro tracciati e, soprattutto, la memoria ‒ sebbene ormai vaga ‒ di un caso di gestione integrata di un sito ad alto valore paesaggistico, ambientale, civico e turistico, sul quale vale davvero la pena tornare a riflettere in questo inizio di XXI secolo.

In mostra, il filo conduttore che porta dalle storie raccontate tramite le collezioni del Museomontagna alla contemporaneità, passa attraverso le fotografie di Vittorio Sella nella regione del massiccio del Ruwenzori, di Walter Bonatti in Patagonia e in Sierra Nevada, di Craig Richards in Uganda, di Jiří Havel in Cecoslovacchia; racconta con un focus specifico la straordinaria esperienza guidata tra gli anni Trenta e Sessanta del Novecento dall’imprenditore Ermenegildo Zegna nella conca di Trivero (Alpi biellesi), con l’impiantamento di 500.000 conifere e piante da fiore, ancora oggi ammirabili nell’Oasi Zegna, istituita nel 1993; tocca, tramite materiali dell’Archivio Cesare Leonardi, l’attività di studio strutturale condotta dall’architetto modenese con Franca Stagi, l’elaborazione della Struttura Reticolare Acentrata, la pubblicazione del fondamentale L’Architettura degli Alberi.
Il collegamento con il presente è dato sia dalla presenza in mostra degli esiti del confronto con il tema da parte di 20 artisti contemporanei, sia dalla collaborazione con realtà che in questi anni hanno maturato pratiche virtuose per la protezione e il recupero ambientale, come Legambiente, Agroinnova - Centro di Competenza per l’Innovazione in campo agro-ambientale dell’Università degli Studi di Torino, e Fondazione Edmund Mach di Trento.

Tree Time nella sua versione originaria e in questa nuova tappa - arricchita, aggiornata e ampliata con nuove opere di artisti italiani e internazionali, alcune site-specific, e con contributi originali elaborati dal MUSE - trova perfetta contestualizzazione in quella volontà e capacità che sempre più si stanno consolidando e diffondendo nel settore museale e che individuano nella risposta alle sfide della contemporaneità, nella declinazione consapevole e responsabile della propria funzione culturale, la chiave per rivestire con maggiore pregnanza il ruolo di attore e attivatore sociale.
L’ICOM – International Council of Museums ha aperto a inizio 2019 un processo di revisione – confermato dalla 25a Conferenza Generale tenutasi a Kyoto – per la riformulazione della definizione stessa di museo. L’obiettivo è recepire le istanze più recenti che si sono affacciate nel pensiero di settore: oltre a rispettare le proprie funzioni essenziali (acquisizione, conservazione, ricerca scientifica, esposizione delle testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente), il museo deve operare con la consapevolezza dell’urgenza di questioni come l’ineguaglianza, la discriminazione, la disparità di opportunità, l’ambiente e il cambiamento climatico, ripensando il ruolo della natura in relazione all’uomo e contribuendo a sviluppare visioni di sostenibilità con un’attitudine di responsabilità etica, politica, sociale e culturale nei confronti della collettività.
Il rinnovamento del paradigma descrittivo e prescrittivo condiviso potrà supportare i musei nella costruzione e nel consolidamento di connessioni di rilievo con le complessità del XXI secolo. E la stessa capacità di recepire i bisogni della società nelle strategie e nelle politiche di gestione contribuirà a fare del museo un luogo di incontro, di apprendimento, di scambio e di sviluppo del pensiero critico.
Una piattaforma aperta, inclusiva, partecipata e policentrica, un sistema di conoscenza plurale. Un albero fatto di radici, ramificazioni e interconnessioni vitali.