Il tempo dell’albero e della “trans-socialità”

Andrea Lerda
Curatore


La mostra Tree Time rappresenta l’evoluzione del progetto espositivo che il Museo Nazionale della Montagna di Torino ha presentato al termine del 2019.
L’esposizione viene riproposta al MUSE – Museo delle Scienze di Trento, in una versione rivisitata, a due anni esatti dalla tempesta Vaia, l’evento meteorologico estremo che a fine 2018 ha devastato intere foreste nel Nord Est italiano.
Il titolo della mostra mette al centro il concetto di tempo. Un tempo che, come espresso nel sottotitolo, è qui inteso in quanto momento di evoluzione, da una fase in cui la specie umana ha dato prova della sua natura predatoria, a una nuova era nella quale progresso, crescita e benessere sono il frutto di una coesistenza simbiotica con i ritmi e i processi naturali.
Lo scenario che si intende evocare è dunque legato a un tempo futuro, caratterizzato, ci auguriamo, da una nuova relazione empatica tra l’essere umano e il mondo che coabita.

L’esposizione si concentra sul tema degli alberi, dei boschi e delle foreste e si inserisce storicamente e culturalmente all’interno dell’eredità che l’Era dell’Antropocene (così definita da Eugene F. Stoermer) o del Capitalocene (secondo la definizione di Jason W. Moore) ha prodotto. Dalla tempesta Vaia agli incendi senza precedenti che hanno devastato l’Artico. Dal fuoco doloso, utile alle dinamiche industriali, alla deforestazione della Foresta Amazzonica che annienta biodiversità e habitat culturali, aggravando le emissioni di CO2 nell’atmosfera e accelerando il riscaldamento globale.
È ormai evidente, oltre ogni possibilità di negazionismo, che le azioni antropogeniche hanno avuto effetti planetari, in inter/intra-azione1 con altre specie e processi. La presa di coscienza di questa relazione – qualsiasi piano d’azione per il clima deve partire dal riconoscimento della gravità del problema2 – va di pari passo con il manifestarsi di eventi globali e con l’affermarsi di un’immagine del Mondo come un’unica vita interconnessa.
In questo senso, Tree Time si inserisce all’interno di una riflessione ecologica che sta interessando ogni ambito dell’esistenza umana e nella quale il surriscaldamento del nostro pianeta, e tutte le conseguenze che esso produce ai danni delle specie viventi e non, costituisce un problema politico e sociale oltre che ambientale.

Per questa ragione, la mostra propone un approccio multidisciplinare. In esso, arte e scienza riflettono sulla relazione tra climate change, processi patogeni e problematiche fitosanitarie; aspetti giuridici e pratiche di social dreaming esplorano i concetti di “trans-socialità” e di relazione con l’alterità; botanica e pratiche forestali si confrontano in materia di rigenerazione boschiva e di forestazione urbana. Il progetto si sofferma sui concetti di cura e di salute delle piante, di equilibrio e disequilibrio, di simbiosi e nuove forme di governance.

Tree Time propone una narrazione il cui obiettivo è dare forma a un pensiero biocentrico, di fondamentale importanza per restare in contatto con il tema della sopravvivenza su un “pianeta infetto”3. Uno sguardo attraverso la complessità del mondo naturale, che diventa occasione per un cambio di paradigma, nel quale l’essere umano non è più specie dominante ma parte di una relazione con una complessità multispecie – fatta di forme viventi e non viventi – da cui dipende e da cui è influenzato.

In questo senso, la mostra sposa l’idea di superamento della concezione del mondo secondo la visione dicotomica colonizzatori/colonizzati. L’esposizione mette al centro l’albero in quanto essere vivente, riconoscendo il rapporto di dipendenza da esso, poiché, come sostiene Francis Hallé, ≪l’asimmetria ci è sfavorevole […] l’albero non ha in alcun modo bisogno di noi, mentre per noi è essere vitale≫4.

La narrazione della mostra indaga la relazione uomo-natura attraverso un doppio sguardo.
Le immagini di problematiche ai danni degli ecosistemi vegetali (e per mescolanza a tutti gli altri ecosistemi e alle specie a essi collegati) evidenziano le implicazioni e le responsabilità di natura antropica, ma, al contempo, propongono allo spettatore una serie di visioni in positivo. Buone pratiche di forestazione; modelli per la prevenzione degli incendi, per la gestione e la rigenerazione di ecosistemi naturali; esempi di lotte ambientali e di conquista di diritti a favore della natura.
È la stessa voce degli alberi che stimola la nostra coscienza a osservare queste creature con occhi e consapevolezza diversi. In più occasioni la mostra attiva degli spazi di significazione attraverso i quali immaginare nuove forme di relazione con gli alberi e con il mondo che ci circonda; ambienti immersivi e interattivi consentono uno sguardo inedito sulla cura reciproca che specie vegetali e specie umana possono riservare l’uno a favore dell’altro.

Come scrive Emanuele Coccia, ≪Il nostro mondo è un fatto vegetale, prima di essere un fatto animale≫5. Gli alberi ≪hanno dato vita alla nostra specie, hanno plasmato non solo il nostro corpo e la nostra identità anatomica. Hanno anche influenzato il nostro modo di costruire legami e strutture sociali […] ci hanno insegnato e reso possibile ciò di cui siamo più orgogliosi: la tecnologia≫6. Ciò nonostante continuiamo a intenderli come semplice merce di cui disporre per dare forma al nostro presente e per alimentare stili di vita non più sostenibili.
Circa il 30% della superficie terrestre è attualmente ricoperta da alberi, creature “potenzialmente immortali”7 che oltre a produrre ossigeno ‒ elemento vitale per la nostra respirazione (l’essere umano ne necessita in media 300 litri al giorno per vivere in modo sano) ‒ diminuiscono l’inquinamento atmosferico e assorbono la CO2 prodotta dalle attività antropiche.
Gli alberi riducono notevolmente i livelli di stress; gli ioni negativi che producono hanno un’influenza benefica sulla nostra salute e sul nostro umore. All’ombra degli alberi ci sentiamo sereni, in pace, riposati e tranquilli. Comunicano e si comportano attraverso un modello di rete sociale intelligente ed è grazie alla simbiosi tra funghi e radici che generano suoli fertili e ricchi di materia organica.

Gli alberi moderano il clima, proteggono i versanti delle montagne prevenendone il dissesto idrogeologico, ospitano e favoriscono l’esistenza della biodiversità e hanno una funzione cruciale nel processo di regolazione dell’acqua. Fungono da “condizionatori” naturali a emissioni zero all’interno delle aree urbane, rappresentando per il presente e il futuro ≪uno strumento prezioso nelle mani dell’urbanista≫8 e un partner straordinario per mitigare gli effetti del cambiamento climatico in atto.

Tiziano Fratus invita le persone a camminare nei boschi per apprendere la saggezza tra le foglie degli alberi. Nicolas Bourriaud parla della foresta come di un “paesaggio della mente” e del pensiero umano come un luogo analogo, ≪la cui vegetazione è costituita da sinapsi, neuroni e neurotrasmettitori≫9. Peter Wohlleben ha dimostrato che gli alberi emettono segnali e si comportano come esseri sociali. Mentre in The Secret Life of Plants, Peter Tompkins e Christopher Bird raccontano di misteriosi e affascinanti dinamiche di comunicazione e di percezione extrasensoriale dei vegetali e di come le piante siano in dialogo con la nostra anima.
I benefici ambientali, sociali ed economici che gli alberi sono in grado di esercitare, il cui elenco potrebbe continuare a lungo, rappresentano la chiave di volta per riconfigurare la nostra presenza sul pianeta.

È dunque tempo della “trans-socialità”, di un nuova rivoluzione linguistica che sappia tradurre in maniera decifrabile i diversi linguaggi della natura per una nuova “ecophilia”10 del pensiero. Il tempo di ritornare a una meta-sensibilità e all’ascolto dei messaggi che provengono dalla natura di cui siamo parte; della simbiosi con le altre “reti sociali” che ci circondano e del dialogo trasversale con tutte le altre comunità con cui condividiamo questa Terra.

È tempo di cambiare il modo di immaginare le foreste, di vedere gli alberi e di proteggere la montagna. È il tempo del cambiare l’agenda delle priorità politiche locali, nazionali e globali. Un tempo in cui serve riconsiderare le modalità di disboscamento, sfruttamento e gestione delle aree boschive, nonché del ruolo che gli alberi rivestono all’interno di città sempre più affollate e influenzate dal global warming.

È tempo di immaginare nuovi modelli per abitare le metropoli e le grandi aree urbanizzate. Un processo già in atto a livello internazionale, che, in Italia, trova un esempio significativo nel Bosco Verticale e nella visione del suo architetto Stefano Boeri. Visione che passa attraverso il concetto di “Città Foresta”, il termine “forestare” e l’idea di “Smart Forest City”11 per il futuro, nella quale la pianificazione urbana si sviluppa per dare forma a una città aperta, ispirata a principi di autosufficienza e mobilità interamente elettrica, ai valori di innovazione tecnologica e qualità ambientale, e costruita in relazione a superfici vegetali, piante di varie specie e canali d’acqua.
Una progettazione che non può prescindere dal concepire le città in relazione al territorio metro-montano e alle terre alte, sostituendo una visione policentrica in cui urbanità e montanità concorrono alla stabilità e alla competitività del sistema. Si va dunque verso l’idea delle “bioregioni urbane”, in cui “le aree marginali e periferiche, i sistemi vallivi, profondi, che danno storicamente identità ai sistemi urbani di pianura, riacquistano centralità nel garantire la riorganizzazione di relazioni di reciprocità, non gerarchiche, fra sistemi urbani e spazi aperti agro-forestali per realizzare nuovi equilibri ecosistemici, energetici, alimentari e funzionali”12.

Tre milioni di nuovi alberi entro il 2030: è la proposta dello stesso Boeri sposata con convinzione dal sindaco di Milano, Beppe Sala. Un imponente progetto di piantumazione e di forestazione urbana che guarda al futuro. Qualcosa di simile dovrebbe accadere a Torino che, nonostante il titolo di città più verde d’Italia, mantiene secondo Legambiente il primato di metropoli tra le più inquinate d’Europa.
Primi passi nella costruzione di un nuova visione dell’abitare e di progettare il futuro integrando gli alberi nel nostro spazio fisico e mentale quotidiano.
Operazioni che in campo artistico videro Joseph Beuys tra i precursori più noti del concetto di “semina”, attraverso pensieri e azioni mirate al miglioramento della vita dell’essere umano e della natura in cui esso vive. Era il 1982 quando, invitato a partecipare a Documenta VII, l’artista ‒ in quell’occasione contadino sciamano ‒ presentò l’opera Le 7000 Querce. Prendeva così il via un’inedita azione artistica tutt’oggi in fase di crescita e di trasformazione. Niente musei, niente esposizione, piuttosto una semina come nuovo modo di fare arte e di prendere coscienza di un problema ambientale, sociale e culturale. Temporalmente successiva ad altre sue azioni in difesa di alberi e foreste, come nel caso di Retten den wald (Save the Forest) del 1971, la pratica sociale di Beuys trova una corrispondenza teorica nel suo manifesto del 1981, titolato An Appeal for an Alternative. Indicando la crisi ecologica come uno dei quattro sintomi della crisi del tardo capitalismo, scrisse:

≪Our relationship to nature is characterised by its having become thoroughly disturbed. There is the threat of total destruction of our fundamental natural basis. We are doing exactly what it takes to destroy the basis by putting into action an economic system which consists in unscrupulous exploitation of this natural basis…Between the mine and the garbage dump extends a one-way street of the modern industrial civilisation to whose expansive growth more and more lifelines and life cycles of the ecological systems are sacrificed≫.13

Ma dagli anni Settanta altri artisti hanno condiviso questo bisogno di reazione, mediante pratiche artistiche che potremmo definire attive. Membro fondatore del Grupo Bosque (Forest Group), Nicolás García Uriburu partecipò nel 1974 alla campagna di reforestazione a Maldonado, in Uruguay, e condusse tre decenni di spedizioni tra Argentina ed Europa per piantare alberi. Dall’azione del 1980, in difesa degli alberi di banano a Buenos Aires, alla piantumazione di piante locali lungo le vie della capitale argentina, o di pini nell’est dell’Uruguay nel 1987. Sono gli anni in cui Pierre Restany, co-autore del Rio Negro Manifesto: On Integralism Naturalism, sostenne le azioni di riforestazione e le proteste contro la distruzione della Foresta Pluviale Amazzonica.
Esperienze storiche che hanno trovato seguito nei lavori di artisti come George Steinmann che, dal 1997 al 2006, ha lavorato a Komi - A Growing Sculpture. Un progetto in difesa della foresta vergine di Komi, la più vasta esistente in Europa, patrimonio mondiale dell’UNESCO, che come molte altre foreste è a rischio di distruzione per ragioni ambientali ed economiche.
Oppure esperienze più recenti, come quella realizzata nel 2009 dal duo 431art. Come protesta contro la decimazione di una foresta di faggi per fare posto alla nuova pista di atterraggio dell’aeroporto di Francoforte, gli artisti hanno disseppellito 33 giovani faggi, per ripiantarli all’interno di una “colonia d’artista” come parte del loro progetto botanoadopt tuttora in corso.
Fino alla provocatoria installazione di Klaus Littmann - artista svizzero già allievo di Beuys - che dal 9 settembre al 27 ottobre del 2019 ha “installato” un bosco autoctono sul campo da calcio dello stadio di Klagenfurt, in Carinzia. Il gesto, ampiamente diffuso dai media, può essere definito una sorta di “scultura sociale” che cerca di diffondere il concetto di piantumazione sia come pratica sia come esercizio per quella coscienza ecosostenibile che ci insegna Greta Thunberg.

Con la mostra Tree Time l’arte tenta ancora una volta di stimolare l’immaginario collettivo e si pone come strumento per pensare e immaginare in modo ecocentrico.
La riflessione su alberi, boschi e foreste che l’esposizione propone, avviene attraverso una reciproca contaminazione tra l’universo dell’arte e quello della scienza, nella consapevolezza che per sviluppare una nuova coscienza ecologica è importante imparare a con-vivere e a dialogare con altri mondi. L’arte, assieme alla scienza e a ogni altro sapere, ha il potere di costruire nuove visioni. La creatività è uno strumento di fondamentale importanza per la trasformazione del pensiero culturale, sociale e politico.

Il percorso espositivo mescola intenzionalmente passato, presente e futuro, attraverso le visioni di venti artisti internazionali, un nucleo di importanti fotografie e documenti storici che appartengono al Centro Documentazione del Museomontagna e alla Biblioteca Nazionale del Club Alpino Italiano.
La narrazione della mostra si sviluppa attraverso cinque macro capitoli, i cui contributi storico scientifici sono affidati alla curatela di Matteo Garbelotto, direttore presto il Forest Pathology and Mycology Lab di Berkeley e adjunct professor presso l’Environmental Science, Policy and Management Department dell’Università della California. Interviste a ricercatori ed esperti sono proposte al visitatore sotto forma di video, quale occasione – assieme al catalogo digitale della mostra – per approfondire i temi trattati.
Inoltre, alcune delle opere esposte sono state realizzate grazie alla collaborazione con i ricercatori del MUSE; del Centro di Competenza per l’Innovazione in Campo Agro-ambientale Agroinnova dell’Università degli Studi di Torino; della Fondazione Edmund Mach di Trento e del CMCC - Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici.
Importanti contributi provengono infine dall’Archivio Zegna, dall’Archivio Cesare Leonardi e dall’Archivio del 900 del Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto.

Note

  1. K. Barad, Meeting the Universe Halfway: Quantum Physics and the Entanglement of Matter and Meaning, Duke University Press, 2007.
  2. B. Gates, Zero carbonio entro il 2050, in La grande alleanza verde, “Green&Blue. L’innovazione per la sostenibilità e l’ambiente”. Anno 1, n°1, Gedi Gruppo Editoriale, 3 ottobre 2020.
  3. D. Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto, Nero Edizioni, 2019. Titolo originale: Staying with the Trouble - Making Kin in the Chthulucene. University of Chicago Press, 2016.
  4. F. Hallé, Ci vuole un albero per salvare la città. Un manifesto per i politici e gli amministratori pubblici, Adriano Salani Editore, Milano 2018.
  5. E. Coccia, La vita delle piante. Metafisica della mescolanza, Il Mulino, Bologna, 2018. Titolo originale: La Vie des plantes. Une métaphysique du mélange, Éditions Paryot & Rivages, Paris, 2016.
  6. E. Coccia, Cosa ci insegna il bosco / What the Forest Teaches Us, in “Moreness. A monograph on the state of being more”. Monograph 02 - On Trees and Woods, Summer 2020. Edito da franzLAB, 2020
  7. Ibidem.
  8. Le Corbusier, Quando le cattedrali erano bianche. Viaggio nel paese dei timidi, Marinotti, Milano, 2003.
  9. N. Bourriaud, Un’arte poli-soggettiva. Dal paesaggio alla foresta, in Foresta Urbana. Arte e natura del nuovo millennio, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (MI) 2018.
  10. Per Ruyu Hung, Professor of Philosophy of Education at the Department of Education; National Chiayi University, Taiwan, il neologismo "ecofilia" si riferisce al legame affettivo e incarnato tra uomo e luogo e tra uomo e natura. L'ecofilia è fonte di ispirazione educativa perché arricchisce la significatività della vita umana. Pertanto, il concetto di ecofilia può essere considerato un'idea guida dell'educazione. Tale educazione è ciò che Hung definisce “ecopedagogia".
    Ecophilia è inoltre il titolo della mostra temporanea che il Museo Nazionale della Montagna di Torino presenta dal 27 gennaio al 27 giugno 2021, a cura di Andrea Lerda.
  11. Smart Forest City è il nome del progetto che l’architetto Stefano Boeri ha recentemente presentato per la città di Cancun, in Messico.
    “Questo progetto si presenta come la pianificazione urbana di una nuova città Foresta in Messico, si estende per 557 ettari fino a 130 mila abitanti. 362 ettari di superfici vegetali e 120.000 piante appartenenti a 350 specie diverse, su disegno di una città aperta e internazionale ispirata ai valori dell’innovazione tecnologica e della qualità ambientale.
    La Smart Forest City è pensata come un insediamento autosufficiente dal punto di vista energetico mediante un anello perimetrale di pannelli fotovoltaici e un canale di acqua collegato con un impianto ipogeo al mare, che permettono di alimentare le città in modo sostenibile. […] La nuova Città Foresta è all’avanguardia anche dal punto di vista della mobilità grazie a un articolato sistema di trasporto che prevede che sia i residenti che i visitatori lascino ai bordi della città ogni veicolo a combustione e che la mobilità interna sia unicamente elettrica e semiautomatica”.
    Smentire la storiografia, Stefano Boeri in conversazione con Gea Politi e Cristiano Seganfreddo, in “Flash Art” n. 349, giugno-agosto 2020.
  12. A. Magnaghi, D. Fanfani, Patto città-campagna: un progetto di bio-regione urbana per la Toscana centrale, Alinea Editrice, Firenze, 2010.
  13. J. Beuys, Theories and Documents, Berkeley University of California Press, Berkeley 1996.